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Oggi, 29 settembre

Poi d’improvviso lei
sorrise
e ancora prima di capire
mi trovai sottobraccio a lei
stretto come se
non ci fosse che lei.

La Casa Bianca diventa green

da Green Magazine

Entro il 2012 pannelli solari installati sul celebre edificio: una proposta fatta direttamente al presidente Barak Obama

La Casa Bianca diventa green

Barak Obama passerà alla storia come il primo presidente nero degli Stati Uniti. Un uomo sul quale sono state riversate enormi aspettative di cambiamento: nelle strategie politiche, militari, economiche e non solo. Ci si aspetta uno sguardo più profondo alle problematiche ambientali, non solo statunitensi, ma mondiali, come è giusto che sia per un leader della sua caratura.

Ecco che è stata rivolta direttamente a lui la proposta di partire dall’edificio più rappresentativo della presidenza degli Stati Uniti – la Casa Bianca – nel dare l’esempio per attuare le buone pratiche di sostenibilità e risparmio energetico. La casa presidenziale dovrà diventare più eco friendly e rispettosa dell’ambiente. Nome in codice del progetto? Globama. Abbastanza emblematico, no?

Globama è portato avanti da un gruppo di aziende private statunitensi che hanno proposto al Presidente l’installazione di pannelli fotovoltaici direttamente sul tetto della Casa Bianca. Ben 102 pannelli, per un valore totale di 107mila dollari, che dovrebbero garantire – stando alle parole dei promotori – un risparmio energetico dell’81% sugli attuali consumi elettrici della casa presidenziale.

Non si tratterebbe di una novità assoluta alla White House: già nel 1979 il presidente Jimmy Carter fece installare 32 pannelli fotovoltaici, tuttavia rimossi nel 1986 dal suo successore, Ronald Reagan. Oggi, forse, i tempi sono più maturi per un deciso restyling della struttura. La quale ha il vantaggio di un’enorme popolarità e l’impatto mediatico di una sua svolta solare potrebbe portare grandi benefici in termini di pubblicità delle energie pulite.

A tal fine è stato creato anche un sito web, attraverso il quale la principale azienda promotrice dell’iniziativa – la Sungevity – espone una vera e propria lettera d’intenti indirizzata al presidente Obama, tramite un viaggio vero e proprio verso la Casa Bianca per reinstallare i pannelli fotovoltaici.

Una primo grande cambiamento è stato segnato dalla sua elezione, speriamo che tanti altri possano arrivare, come iniziative di questo genere: piccole se vogliamo, ma significative per l’opinione pubblica. Ed è da qui che si parte per i grandi cambiamenti culturali, anche a difesa dell’ambiente.

Joe Biden, il guerrafondaio

Solo Chicago

Guardo sport, film, Current TV sul satellite mi piace. Onestamente, mi annoio facilmente. C-SPAN [la rete via cavo di news, ndr] può essere bellissima, come nella notte in cui Obama ha vinto le elezioni. C-SPAN è stata la migliore: non c’erano presentatori, solo Chicago. C’era solo la folla a Grant Park, ed era esaltante. E quella è la mia città. Tutti si dicevano: «Oh mio dio, sta succedendo!» Hai visto le foto, c’era qualcuno dalla zona nord, qualcuno da quella sud, qualcuno dalla periferia. È stata la cosa più sinceramente americana che io abbia mai visto, mi entusiasmo solo a pensarci. Non conosco nessuno che non stesse piangendo. Continuavamo a ripeterci: «grazie a Dio questo lungo incubo nazionale è finito».

Bill Murray

The Slow Apple

Cosa succede se la città che non dorme mai decide di rallentare i suoi ritmi? Repubblica propone un viaggio nella “new New York”, fra piste ciclabili, semafori più lunghi, bus per anziani e parchi per bambini.

Green Killing Machines

Armi metereologiche, terremoti artificiali, droni e attrezzature da guerra alimentate ad energia solare, caccia bombardieri e flotte navali a biocarburante, esplosivi a ridotto contenuto di tossine e proiettili senza piombo che non contamineranno i campi di battaglia. La guerra del futuro sarà più verde, ma i morti purtoppo resteranno tali, e non riciclabili.

Prima o poi doveva succedere

I Tea Party appoggiano un democratico.

Una moschea vicino a Ground Zero

Una bella idea per favorire il dialogo e mostrare la differenza della nostra civiltà. Indovinate chi non è d’accordo?

I nuovi nemici dei reduci dell’Iraq

da Internazionale

Rientrare dalla guerra può essere più rischioso che rimanerci. Almeno è quel che si può pensare leggendo le cifre su alcuni reduci dell’Iraq.

La quarta brigata della prima divisione armata, rientrata dall’Iraq nel 2008, ha avuto un solo morto in un anno di guerra. In poco più di un anno dal ritorno a casa, invece, sette soldati hanno perso la vita in maniera violenta (suicidio, droga, risse, incidenti causati dall’alcol) e sei hanno commesso crimini, causando la morte di almeno altre quattro persone.

Adesso che gli Stati Uniti stanno riducendo drasticamente il numero delle truppe in Iraq, scrive il New York Times, è importante che si cominci a pensare anche a come assicurare una buona transizione ai soldati che rientrano. “Queste sono persone che hanno passato 14 mesi a lottare, uccidere e correre rischi. Non si può semplicemente accenderli e spegnerli”, spiega il sergente maggiore Sa’eed Mustafa.

A Fort Bliss, i comandanti della quarta brigata di ritorno dall’Iraq si sono resi conto della necessità di accompagnare i soldati in questo percorso di rientro. Hanno sostituito un approccio più delicato ai vecchi metodi duri che non tenevano conto di problemi come stress da combattimento e traumi. Oggi alla base è sempre presente un consulente civile, gli ufficiali devono frequentare un corso di prevenzione al suicidio e sono invitati a osservare e parlare con i loro soldati per conoscere la loro vita privata.

Nei tre mesi dall’inizio di questo programma, i crimini sono drasticamente diminuiti e i più gravi sono stati tre arresti per guida in stato di ebrezza. I comandanti di Fort Bliss si augurano che la loro esperienza possa essere di esempio per tutto l’esercito.